Una corsa dentro la poesia del 900
"Estate"
Siamo ancora in compagnia di Cesare Pavese, in questo ipotetico viaggio dentro la poesia del 900. Traduttore, saggista, scrittore ma soprattutto poeta dall’animo sensibile che attraverso i suoi spiccati e percettivi sensi, ci ha raccontato della vita attraverso la poesia che egli sente innata tra le sue passioni.La vita, filtrata dalle sensazioni di un uomo che ha vissuto intensi ardori, di portata tali, da segnarne irrimediabilmente il proprio destino. Questa volta si rivolge a una delle stagioni più amate: l’estate.
Un Componimento che troviamo inserito nella raccolta “Lavorare
stanca”. Ma leggiamola insieme questa delicata poesia per poterne godere a
pieno ogni suo verso.
C’è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell’erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un’erba che so,
con un tonfo. Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d’aria
e il prodigio sei tu. C’è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.
Ascolti.
Le parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.
Pavese, riesce a creare una sorta di fresco connubio, nel
quale sposa l’incanto e i colori di un‘estate che "cuoce la terra" – come egli
stesso afferma - e la sua donna che la definisce ed appella “prodigio”.
E la racconta, questa stagione d’amore, dalla sua
prospettiva di uomo incantato, di uomo innamorato della vita, della natura e
della sua donna.
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