Una corsa dentro la poesia del novecento
"Scendendo qualche volta"
In questo tratto di percorso Eugenio Montale ci lascia, ma
prima di farlo, ci regala un’ultima poesia che ci conferma ancora – qualora ce
ne fosse bisogno – quanto il suo rapporto con il mare sia intenso, intimo e
sentito con questo terzo movimento della serie "Mediterraneo". anch'essa contenuta in "Ossi di Seppia", dal titolo
“Scendendo qualche volta”:
Scendendo qualche volta
gli aridi greppi
ormai divisi dall'umoroso
Autunno che li gonfiava,
non m'era più in cuore la ruota
delle stagioni e il gocciare
del tempo inesorabile;
ma bene il presentimento
di te m'empiva l'anima,
sorpreso nell'ansimare
dell'aria, prima immota,
sulle rocce che orlavano il cammino.
Or, m'avvisavo, la pietra
voleva strapparsi, protesa
a un invisibile abbraccio;
la dura materia sentiva
il prossimo gorgo, e pulsava;
e i ciuffi delle avide canne
dicevano all'acque nascoste,
scrollando, un assentimento.
Tu vastità riscattavi
anche il patire dei sassi:
pel tuo tripudio era giusta
l'immobilità dei finiti.
Chinavo tra le petraie,
giungevano buffi salmastri
al cuore; era la tesa
del mare un giuoco di anella.
Con questa gioia precipita
dal chiuso vallotto alla spiaggia
la spersa pavoncella.
Chiaro l’intento di questo componimento, che intende perseguire un fine unico: la realizzazione di una soluzione intima e decisa tra la sua essenza e il mare, in un contesto che prelude a una libertà desiderata, e che si confonde con quella vastità che essa stessa esplicita fin dal primo sguardo che il poeta le dirige.
Si frappone solo la collina a dividerne il cammino. Collina
pregna di stagioni uggiose che egli supera, nella brama di un incontro che
rigonfia l’aria durante il suo cammino e la risacca, che poco prima era
silente.
Già la vista di quel mare, nel passato, bastava a rallentare
il ritmo della noia, e nella stessa pietra ai lati del percorso, individua quello slancio verso la distesa
azzurra sotto il cielo, come volesse fare uso di un abbraccio nell’attesa del
prossimo fruscio dell’onde.
Perfino le canne aderiscono alle docili effusioni della solida
materia della terra, onorando i fossi d’acqua attraverso la loro lenta
ondulazione.
E al mare, si rivolge, quando lo osserva redimere la sofferenza degli scogli e delle canne a proprio trionfo, giustificandone per questo l’immobilità.
L’arrivo è palesato da ventate fresche di salsedine, mentre l’aria
disegna anelli sul filo della salmastra superficie. E quella smarrita
pavoncella, che nel tuffarsi dal vallotto risplende della sua stessa gioia per
la ritrovata strada.
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