mercoledì 12 gennaio 2022

Quando il mare chiama...

Una corsa dentro la poesia del novecento

 "Scendendo qualche volta"


In questo tratto di percorso Eugenio Montale ci lascia, ma prima di farlo, ci regala un’ultima poesia che ci conferma ancora – qualora ce ne fosse bisogno – quanto il suo rapporto con il mare sia intenso, intimo e sentito con questo terzo movimento della serie "Mediterraneo". anch'essa contenuta in "Ossi di Seppia", dal titolo “Scendendo qualche volta”:


Scendendo qualche volta

gli aridi greppi

ormai divisi dall'umoroso

Autunno che li gonfiava,

non m'era più in cuore la ruota

delle stagioni e il gocciare

del tempo inesorabile;

ma bene il presentimento

di te m'empiva l'anima,

sorpreso nell'ansimare

dell'aria, prima immota,

sulle rocce che orlavano il cammino.

Or, m'avvisavo, la pietra

voleva strapparsi, protesa

a un invisibile abbraccio;

la dura materia sentiva

il prossimo gorgo, e pulsava;

e i ciuffi delle avide canne

dicevano all'acque nascoste,

scrollando, un assentimento.

Tu vastità riscattavi

anche il patire dei sassi:

pel tuo tripudio era giusta

l'immobilità dei finiti.

Chinavo tra le petraie,

giungevano buffi salmastri

al cuore; era la tesa

del mare un giuoco di anella.

Con questa gioia precipita

dal chiuso vallotto alla spiaggia

la spersa pavoncella.

Chiaro l’intento di questo componimento, che intende perseguire un fine unico: la realizzazione di una soluzione intima e decisa tra la sua essenza e il mare, in un contesto che prelude a una libertà desiderata, e che si confonde con quella vastità che essa stessa esplicita fin dal primo sguardo che il poeta le dirige.

Si frappone solo la collina a dividerne il cammino. Collina pregna di stagioni uggiose che egli supera, nella brama di un incontro che rigonfia l’aria durante il suo cammino e la risacca, che poco prima era silente.

Già la vista di quel mare, nel passato, bastava a rallentare il ritmo della noia, e nella stessa pietra ai lati del percorso, individua quello slancio verso la distesa azzurra sotto il cielo, come volesse fare uso di un abbraccio nell’attesa del prossimo fruscio dell’onde.

Perfino le canne aderiscono alle docili effusioni della solida materia della terra, onorando i fossi d’acqua attraverso la loro lenta ondulazione.

E al mare, si rivolge, quando lo osserva redimere la sofferenza degli scogli e delle canne a proprio trionfo, giustificandone per questo l’immobilità. 

L’arrivo è palesato da ventate fresche di salsedine, mentre l’aria disegna anelli sul filo della salmastra superficie. E quella smarrita pavoncella, che nel tuffarsi dal vallotto risplende della sua stessa gioia per la ritrovata strada.

 


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