Una corsa lungo la poesia del 900
"Non gridate più"
Montale ci ha lasciato e su questo ipotetico autobus che
percorre solo alcune tappe della bella poesia italiana è salito il maestro
Giuseppe Ungaretti.
Di lui sappiamo bene quale fosse la sua tempra, la sua esclusività nello stravolgere i canonici dettami della poesia fino a quel momento delineati. Ungaretti dimostra coi suoi testi di essere un poeta avanguardista; proiettato verso una sperimentazione che fa subito sua modificando a proprio piacimento stili e punteggiature.
Una delle sue poesie più belle, che possiedono senza sforzo quella
esclusiva facoltà di penetrare le umane percezioni e che ho trovato
estremamente affascinante è “Non gridate più”, poesia nata dalle riflessioni
scaturite dopo un bombardamento al cimitero monumentale del Verano nel 1943, durante il secondo conflitto mondiale:
Non gridate più
Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.
Pochissimi versi che contengono un significato immenso.
Appare chiaro che è il dolore a parlare in questo componimento. Questo crudo sentimento che nasce come conseguenza di eventi che percuotono l’anima dell’essere vivente per il loro forte impatto emozionale. In questo caso è straziante, per Ungaretti, osservare come la crudeltà umana non si curi di ciò che dovrebbe invece rappresentare l’inviolabile, il sacro.
E tuttavia non può essere accettata una seconda morte per le
anime senza più un corpo. Il dolore di Ungaretti, che della guerra ne conosce
bene il volto rude, si stende lungo ogni singolo verso fino all’apice della sintonia
tra la distruzione e quell’umanità che non conosce alcun rispetto per la vita e
per il mondo.
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