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Il suo carattere ribelle e avventuroso lo portò non solo a
fuggire dal seminario di Frascati ove i propri genitori, che gestivano una
tabaccheria in via Laurina, lo iscrissero allo scopo di placare il suo
atteggiamento esuberante e ribelle, ma anche a frequentare
saltuariamente, e con evidente insofferenza alle lezioni e ai doveri
accademici, l’Istituto di Belle Arti ove egli stesso si era iscritto.
Proprio attraverso quest’ultima attività artistica entrò a
far parte come disegnatore, del gruppo all’epoca assai noto di pittori
denominato “I XXV della campagna romana”, specializzandosi successivamente nella raffigurazione di animali e, in particolare, di asini che presentava
sotto varie prospettive, ciascuna a rappresentare vizi e virtù squisitamente
umani.
Ma soltanto nel 1881 si avvicina alla poesia dando inizio
anche all’attività di giornalista. Dal suo amore per il dialetto romanesco parlato con ostinazione anche all’interno degli istituti di istruzione contro
il divieto imposto dai suoi insegnanti, e dalla sua innata capacità narrativa nacquero i sonetti di “Villa gloria” (1886),
de “La scoperta de l’America” (1893) e quelli di “Storia nostra”, quest'ultimi narranti in
versione comico sarcastica la storia d’Italia.
La sua "Eppure er mare...", qui presa in esame e facente parte de “La
scoperta de l’America”, canta le delizie del mare, ma esprime anche meraviglia
e incredulità, per come la sua quiete possa all'improvviso mutare in rabbia
sotto la tempesta.
Pascarella coi suoi versi, mette in evidenza come questo
elemento naturale riesca a penetrare la nostra sfera intima e sensibile attraverso la sua grandezza e la sua potenza.
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