La mia adolescenza l’ho vissuta in un periodo di grandi
rivoluzioni in molti campi iniziate già dalla metà degli anni ’60. In campo
artistico, in particolare, voci nuove imprimevano un impulso forte e l’arte in
tutte le sue forme divenne incisivo e potente strumento di comunicazione con cui venne data voce alla protesta e al dissenso, non solo attraverso le parole, ma anche e soprattutto attraverso stili e mode forzatamente anticonformiste. "Libertà", e non solo intellettuale fu la parola d'ordine che per anni gratificò una buona fetta di cosiddetti "figli dei fiori" oltreché coloro che, strizzando un occhio alle grandi adunate musicali vollero esibire un proprio stile di vita che spesso finiva per superare il confine del canonico giudizio di massa allora imperante. Tuttavia, da queste frange di artisti e in questo contesto "solo apparentemente" caotico, nacquero opere di assoluto spessore, forse irripetibili e ineguagliabili ancora oggi.
In quest’epoca non esisteva ancora un Internet da interrogare
ogni qualvolta nascesse in chiunque una curiosità da soddisfare, e per trovare
risposte a ogni quesito, non rimaneva altro che ricorrere ai mezzi, allora e da sempre in
uso quali libri, enciclopedie e quant’altro rigorosamente stampato. Non esistevano neppure
gli smartphone inventati solo qualche decennio più tardi che, oltre a garantire la comunicazione sono oggi usati in massicce dosi per immortalare quanto capita davanti ai nostri occhi.
Vero è, che queste conquiste tecnologiche frutto di uno sfrenato progresso, hanno sicuramente innalzato il grado di
benessere sociale a tutti i livelli. Svago, studio e perché no, un concreto aiuto
alle nostre attività quotidiane ce le fornisce anche l’intelligenza artificiale, utilizzata con sensibile efficacia sotto varie forme ma attraverso cui qualcuno, e mi viene l’orticaria solo a pensarci, sviluppa anche trame per romanzi da proporre a lettori sprovveduti.
Ma ciò che oggi mi chiedo e spero vi chiediate anche voi, si
lega a una riflessione tanto semplice quanto necessaria in questo contesto di
crescita globale: di tutta questa tecnologia, di questo eccessivo impiego di elettronica ovunque e dell’intelligenza artificiale, ne facciamo un uso ponderato oppure esagerato?
Sono davvero mezzi dei quali ci si può fidare senza limiti, o meglio dosarne l’uso e sfruttarli nei confronti di quei casi ritenuti strettamente utili e/o per cause più o meno indispensabili al fine di
scongiurare disastri a danno della collettività?
Di sicuro, a parte tutto, hanno causato un impigrire
progressivo nelle azioni di tutti i giorni. Da tale repentino aumento nel loro
impiego è andata via via scemando la manualità, il piacere d'una ricerca analizzante stimolata dalla nostra mente fortificando, per contro, una passiva rinuncia - quasi rassegnata - all’approfondimento, all’analisi e alla sana valutazione
supportata dal ragionamento. Ha istituito senza possibilità di fraintendimenti, una rassegnata accettazione
di quanto il web ci fa passare sotto il naso in un contesto ricco di fake news,
di martellanti pubblicità e non di meno, di una serie di informazioni
contrastanti tra di loro, laddove chi la spara più grossa cattura più letture, e
con esse, una serie di benefici legati al numero delle visualizzazioni.
Cosa voglio dire e dove voglio arrivare con questo lungo
preambolo? Semplicemente far notare che più strumenti si hanno a disposizione
per documentare e diffondere materiale multimediale inerente al proprio essere e alle proprie attività, maggiore è
il rischio che possa circolare un'infinità di cose non sempre valide dal punto di
vista dei contenuti, se non addirittura vera e propria spazzatura. Facile
filmare ogni frammento di vita; facile riprendere fatti ed eventi più o meno di nessuna
importanza generale facendoli passare per preziosi momenti di cultura; facile scattare una quantità infinita di foto e documentare in video reading cosiddetti poetici, e
questo è un dato di fatto. Per questo e per tanto altro appare evidente che il rischio concreto è quello di cadere nella banalità, e
grazie ai social, questa grande quantità di materiale trova dimora più o meno abbastanza lunga in rete, sovrastando spesso quel poco di buono che invece dovrebbe maggiormente circolare.

Tornando ai sani libri che esulano dall’impiego della rete è
giusto tuttavia rimarcare che non è poi così disperata la situazione sul loro consumo in termini di lettura, anzi, esiste fortunatamente un’ampia frangia di frequentatori di librerie che guai togliere loro il
bel libro da divorare in men che non si dica.
Tuttavia è e rimane una minoranza rispetto al popolo degli scrittori, sempre più agguerrito, sempre più sostanzioso e sempre meno qualificato e allora, torna alla mente ciò
che eravamo e a quanto dai nostri libri abbiamo appreso, imparato ed estratto allo
scopo di arricchire spirito e cultura personali. Era bello sapere che ogni
buona lettura ci regalava proprio ciò che cercavamo in un unico messaggio. Il
nostro libro era un sacro oggetto cui riporre fede e da cui assorbire potenziali risorse di crescita e arricchimento personali. Che si trattasse di un
romanzo, di un racconto o di una semplice poesia, tutto aveva il giusto valore poiché si scriveva solo quando si aveva qualcosa da dire e si
pubblicava solo quando ciò che andava in stampa recava in sé un valore
letterario, un contenuto che si era guadagnato un posto nel panorama editoriale, grazie anche a un'accurata selezione (che oggi abbiamo perso quasi totalmente) da parte delle poche ma valide case editrici.
Oggi, a distanza di circa cinquant'anni, il mondo dei libri è
diventato una sorta di giungla dove il sublime si confonde con la mediocrità, dove il colto autore deve fare i conti con l'esordiente che scalpita arrogante dietro il suo primo libro pubblicato dietro proposta di acquisto o peggio ancora a pagamento. Se ciò da una parte può fare piacere poiché offre maggiore scelta nei confronti dell'utenza, dall'altra fa emergere un interrogativo: è tutto buono ciò che viene stampato e pubblicato?
Cresce l’offerta dei libri mentre sono in calo i
lettori. Nel 2022 infatti, sono aumentati dell’1,3% i titoli pubblicati
rispetto all’anno precedente così come le tirature (+1,7%) mentre per quanto
riguarda i lettori, il 39,3% della popolazione di 6 anni e più ha letto almeno
un libro nell’ultimo anno per motivi non strettamente scolastici o
professionali abbassando la quota rispetto al 40,8% del 2021 (Ultimi dati
pubblicati da Istat). Chiaro che
proseguendo questo trend, vi sarà un numero spropositato di scrittori a fronte
di un numero sempre minore di lettori.
Già, scrittori. Basta affidarsi a uno degli
oltre 5000 editori in Italia e detto fatto, si diventa scrittori, così come si
diventa poeti solo pubblicando qualche verso. Al di là della narrativa dove
l’assistenza all’autore è quasi totale attraverso figure come il correttore
di bozze e l’editor, per mezzo dei quali il prodotto finale nella sua forma può
essere giudicato accettabile, la poesia, per esempio, deve partire già con una solida base strutturale: di concetto e di contenuto. Insomma, scrittori di racconti e romanzi si può diventare se le storie narrate
hanno un contenuto accattivante e una narrazione che cattura. Poeti no, poiché
nessuno può manipolare il cesellamento di parole e di contenuti eseguito dal poeta, e se non si parte già con un valore intrinseco globale, difficile sarà reputarle poesie!

Per questo credo che la parola poeta sia una parola grossa,
molto grossa, e oggi se ne fa sproposito nel suo uso. Essere poeti vuol dire
aver riconosciuto nella propria scrittura i favori di una critica competente, preparata. Una critica che vada oltre una visione relegata solo alle esigenze del lettore contemporaneo e che arrivi ad abbracciare l'intera tradizione letteraria, anche attraverso i classici che hanno fatto la storia della letteratura mondiale.
Certamente non parliamo di quella critica spicciola, come quelle combriccole di commissioni improvvisate nelle centinaia e
centinaia di concorsi di poesia creati ad hoc per racimolare qualche soldo e permettere
così all'autore di turno di postare sui social la sua bella pergamena con una menzione d’onore, il suo attestato di partecipazione oppure, il diplomino, perché selezionato quale finalista al premio di poesia "Ciccio Balocco" di
Bardanzo di sotto nell’ambito dei festeggiamenti "Il pentolone di bronzo", ma di quella maturata e agente in tutt’altri ambienti.
È mia convinzione che la stragrande
quantità (per fortuna non tutte) di commissioni approntate per le centinaia di
concorsi letterari che ormai pullulano nel web sia competente solo per un certo
di tipo di poesia: quella che descrive sinteticamente un pensiero semplice, con parole semplici, che descrive concetti
semplici a favore di una facilità di comprensione e di valutazione, sempre più aderente a
congetture prive di storia e di tradizioni. Giurie e giurati di ristretta veduta
insomma, pigri nell’applicare quel paradigma di elementi pertinenti alla
scrittura poetica per un’oggettiva valutazione dell'insieme.
Per questo affermo, e non improvvisando, che la poesia è una cosa seria, molto seria! E deve essere fruita
in contesti ove esista una competenza dedicata, dove vi sia la presenza di
fruitori che abbiamo una sensibilità colta e una capacità percettiva superiore, adatte ad analizzare gli
scritti in maniera appropriata e competente e dove, soprattutto, vi sia equilibrio e
coerenza nel riconoscere meriti e valori al di là della richiesta el mercato, al di là del personaggio, al di là del nome e/o dell'amico e oggi, ahimè, e assai difficile
ottenere tali oggettivi giudizi.
Si può nascere grandi poeti, ma se questo accade in
un’epoca sbagliata, in pochi saranno in grado di riconoscerne i valori e di proporre una capacità d’analisi adeguata e soprattutto competente.