Mia vita
È indubbio che Eugenio Montale, sia stato forse il più grande poeta italiano del novecento. La sua ricerca espressiva, pur nella complessità che per natura le appartiene, riesce a mostrare, al di fuori da ideologie e astrazioni di varia natura un’autenticità umana robusta e solida; ma patto che questa, rifiuti qualsiasi vanità o enfasi nella sua sostanza.
Eugenio Montale è stato tra l’altro a mio parere, un limpido esempio e uno straordinario faro illuminante per tutta la poesia italiana contemporanea e soprattutto, per coloro che ne hanno tratto insegnamento negli anni successivi.
Naturalmente, è questo solo un brevissimo e piccolo cenno alla sua straordinaria opera nel panorama letterario del secolo appena trascorso; dovuto e minimo, per poter adeguatamente introdurre una delle sue poesie più belle contenuta in “Ossi di Seppia”, opera datata 1925 e nella quale traspaiono vivi i legami metrici e sintattici con la tradizione lirica italiana. Legami tuttavia innestati, in un contesto lessicale nuovo, ricco di assonanze e di improvvisi picchi di parole: imprevedibili quanto inconsueti.
Una lingua – quella di Montale - che ha il sapore amaro d’una visione negativa dell’esistenza umana. E proprio da "Ossi di seppia", ho estratto una poesia, il cui titolo è "Mia Vita", che ben si allinea allo stile e al pensiero del poeta. Un poeta che si rifugia nel suo mondo illusorio di certezze tradite e assai lontano dai propri sentimenti, cosicché, tutto sembra scorrere nell’indifferenza più assoluta all’interno d’una sua visione personale del mondo e degli elementi.
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