La Tartaruga
Ogni essere vivente, sia esso umano oppure un animale, conosce bene per natura dove sono posti i propri limiti d’azione, superati i quali, potrebbe mettere in pericolo la propria esistenza. Il guaio è che spesso le valutazioni sono errate! Vuoi per foga, vuoi per un superficiale calcolo su rischio e beneficio, ci si trova a volte a fare i conti con situazioni alle quali porvi rimedio diventa assai difficile e alquanto complicato. Niente paura tuttavia, stiamo parlando di poesia, e in questo ambito possiamo anche sbilanciarci sdrammatizzando, per esempio, sulla sorte di una pacata e lenta tartaruga, che proprio in questo errore cadde.
Sull’incidente occorso al lento e corazzato rettile, ironizzò il romanissimo Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa, quando narrò di questa tartaruga, che nella disfatta riuscì a cavare l’unica nota positiva in un tragico momento.
Mi si perdoni la pronuncia, se incappo in qualche stecca, ma il romanesco ha un proprio cuore e un’anima, che strizza l’occhio solo a chi è romano di generazioni, e io lo sono solo nella mia.
La tartaruga
Mentre una notte se n’annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo più lungo
de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: “Scema che sei!
Queste sò scappatelle che costeno la pelle…”
“lo sò” rispose lei “ma prima de morì,
vedo le stelle”.
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